L’aggettivo “insostenibile” può essere utilizzato per definire cose “che non è possibile difendere sul piano della correttezza logica e della validità delle argomentazioni”. Tutti noi, chi più chi meno, crescendo impariamo a catalogare immediatamente ciò che è insostenibile da ciò che non lo è. In ultima analisi, sviluppiamo l’istinto a distinguere le affermazioni che possono essere, se non vere, almeno plausibili. Per le altre – quelle che non hanno alcuna probabilità di esserlo – riserviamo una serie di reazioni che vanno dallo sconcerto all’ilarità, per finire, a volte, con la rabbia. Chi si è reso protagonista di un’affermazione insostenibile perde inesorabilmente credibilità.
Nella fisica l’aggettivo “sostenibile” indica “un processo o uno stato che può essere mantenuto ad un certo livello indefinitamente”. Partendo dal concetto di assenza di alterazioni, nella realtà dei giorni nostri questo termine ha accentrato tantissimi altri significati, fino ad assumere la sostanza di una vera e propria etica. In questo processo di desemantizzazione, l’aggettivo “sostenibile” viene usato moltissimo: ci circonda quotidianamente nei contesti più svariati, dalle tematiche ambientali a quelle sociali, per giungere fino ai prodotti di consumo. Al suo significato di contrario di “insostenibile”, si ricorre invece sempre meno, come se l’accezione che è diventata principale, crescendo a dismisura, abbia cancellato le altre.
Eppure, se guardiamo nello specifico alle aziende che fanno uso dell’aggettivo “sostenibile” per i propri prodotti, accade di frequente di trovare casi “insostenibili”, ovvero “non difendibili sul piano della correttezza logica e della validità delle argomentazioni”. In buona sostanza, non credibili.
Negli ultimi anni, con la crescente adesione ai temi della sostenibilità, si è assistito alla diffusione del Greenwashing: “una strategia di comunicazione o di marketing perseguita da aziende, istituzioni, enti che presentano come ecosostenibili le proprie attività, cercando di occultarne l’impatto ambientale negativo”. Si tratta del tentativo di conseguire i benefici di un posizionamento incentrato sulla sostenibilità millantandolo in maniera totale o parziale, ad esempio valorizzando solo alcuni attributi e spostando l’attenzione da ciò che ha maggiore impatto ambientale.
Da sempre smentire è molto più difficile che affermare. Nel nostro mondo di connessione totale, è diventato nettamente più difficile. Recuperare credibilità è quindi più difficile di costruirla. Il rischio che corre chi pratica il greenwashing è lo stesso di chi afferma l’insostenibile: la perdita di credibilità. In questo caso, con l’aggravante della gravità del contesto. Infatti, è difficile immaginare qualcosa di peggio per un’azienda che dare di sé l’immagine di mentire sugli aspetti legati all’etica.
Ma anche le aziende che agiscono in maniera trasparente e corretta possono essere equivocate. In un contesto come quello della sostenibilità, dove la conoscenza è scarsa e regna l’incertezza, è fondamentale chiarire ogni dubbio e verificare che gli sforzi verso la sostenibilità siano ritenuti “sostenibili”, cioè plausibili, non strumentali o, peggio ancora, non mistificatori. Per questo motivo Eumetra ha sviluppato un modello di analisi proprietario volto a verificare quanto il grande pubblico ritenga “sostenibili” le promesse nell’ambito della sostenibilità dei prodotti, quanto lo siano le specifiche referenze, e quanto è probabile che vengano realmente adottate.
Per approfondire l’argomento “The 5 steps to avoid the greenwashing feeling: